APERTURA AL CAMBIAMENTO - LA FORZA DELL’ADATTABILITÀ

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Nel 1975, un ingegnere di nome Steven Sasson inventò la prima fotocamera digitale.

 
cambiamento illustrazione
 

Era un aggeggio grande come un tostapane, che utilizzava un sensore per catturare le immagini e le memorizzava su una cassetta, simile a quelle dei Walkman. Se riesci a immaginare un frontale fra un mangianastri e un proiettore di diapositive, questo è grossomodo l’aspetto che aveva.

Sasson sapeva di aver creato qualcosa di rivoluzionario. Ma il management dell’azienda per cui lavorava lo accolse con scetticismo. “Carina l’idea, ma chi vorrebbe mai guardare una foto su uno schermo?” dissero, chiudendo il progetto in un cassetto per continuare a puntare sulle pellicole. Kodak dominava il mercato e non voleva rischiare di cannibalizzare il suo core business.
Il resto è storia. Oggi la fotografia digitale è ovunque e Kodak, un tempo sinonimo stesso di fotografia, ha perso il treno dell’innovazione. Perché il cambiamento non aspetta nessuno.

 

PERCHÉ RESISTIAMO AL CAMBIAMENTO?

La vicenda di Kodak è solo uno dei tanti esempi che dimostrano quanto il cambiamento possa essere percepito come una minaccia, anche nelle organizzazioni più strutturate. Ma perché succede? Perché anche di fronte a segnali chiari e opportunità evidenti, individui e aziende preferiscono rimanere ancorati al passato? Ok, basta domande. Adesso qualche risposta.

La prima, almeno in parte, si trova nel nostro cervello. I neuroscienziati hanno dimostrato che il cambiamento attiva l’amigdala, il “reparto paura e stress” dentro la nostra testa. Viene da lì la vocina che ci sussurra: “Hai sempre fatto così, chi te la fa fare? Metti che poi sbagli”. Succede perché ogni trasformazione, anche minima, viene interpretata come un potenziale rischio per la nostra stabilità. Se quest’area cerebrale fosse una stanza, sulla porta ci sarebbe scritto a chiare lettere: “Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quello che lascia ma non sa quello che trova…”.

Secondo una ricerca pubblicata su Nature Neuroscience, al nostro amico grigio piace la prevedibilità. Le situazioni note richiedono meno energia cognitiva e sono percepite come più sicure. Quando un’azienda o un individuo si trova di fronte a una svolta, la console nella stanza dei bottoni si illumina come un abete a Natale e il cervello si barrica dietro paratie automatiche, raggi laser e altri meccanismi di difesa per mantenere inalterato lo status quo.

 

LA CHIAVE PER ABBRACCIARE IL CAMBIAMENTO

Tuttavia non siamo destinati a essere ostaggi di questi impulsi primitivi. La neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di riorganizzarsi in risposta a nuove esperienze, dimostra che possiamo allenarci a diventare più adattabili. Più siamo esposti a cambiamenti, più impariamo a gestirli con meno stress. O meglio, siamo predisposti al cambiamento. Del resto, senza adattabilità come avremmo potuto sopravvivere attraverso le trasformazioni climatiche e ambientali della nostra storia evolutiva? Ma sterzare allo svincolo della via nuova invece di rimanere sulla confortevole, vecchia autostrada abituale è questione di mentalità.

Secondo Carol Dweck, psicologa e autrice di Mindset: The New Psychology of Success, c’è chi ha una mentalità statica (fixed mindset) e chi una mentalità di crescita (growth mindset). I primi tendono a considerare le proprie capacità come immutabili e temono di fallire, per questo evitano il cambiamento. I loro cugini impavidi, invece, vedono il cambiamento come un’opportunità di apprendimento e sviluppo. Trasportando il concetto nel business, le aziende con una cultura del growth mindset sono innovative, resilienti e pronte ad affrontare le trasformazioni di mercato. Non solo sopravvivono ma prosperano.

 

UNA LEVA STRATEGICA CRUCIALE PER LE AZIENDE

Ovviamente non è mai il singolo individuo a determinare il destino di un’organizzazione, ma il modo in cui essa coltiva il cambiamento, mettendolo ai primi posti del proprio paradigma culturale e trasformandolo in opportunità. Ecco un dato che parla chiaro: uno studio condotto da McKinsey & Company ha rivelato che le aziende con una cultura aperta al cambiamento hanno una probabilità di successo nella trasformazione digitale 2,5 volte superiore rispetto a quelle con una mentalità rigida. Perché? Perché sono in grado di sperimentare, iterare e adattarsi prima che sia troppo tardi.

E se questo ti sembra un concetto ancora un po’ astratto, eccoti un paio di casi concreti. Prendi Microsoft. Nel 2014 l’azienda era ancora ancorata ai suoi prodotti storici (Windows e Office). Ma l’asse del pianeta IT si stava inesorabilmente inclinando nella direzione del cloud computing. Così ha iniziato a nuotare vigorosamente sfruttando le correnti del mercato, trasformandosi rapidamente in una cloud-first company. Oggi Azure, la piattaforma sua cloud, genera oltre il 50% dei profitti aziendali e dà filo da torceread Amazon Web Services e Google Cloud.

Nel mare magnum delle aziende tech c’è anche chi ha scelto di fare come il salmone, pagandone il prezzo. Fino al 2007, Nokia dominava il mercato dei telefoni cellulari, con una quota globale superiore al 40%. Poi arrivò Android, un ecosistema aperto e scalabile. Google propose a Nokia di adottare il suo sistema operativo ma i vertici dell’azienda rifiutarono. Sembra quasi di sentire quali potrebbero essere state le ultime parole famose: “Abbiamo sempre fatto così”. Il risultato? In pochi anni Nokia è quasi scomparsa da quel mercato. Per restare a galla e poi tornare leader, le toccò comunque e tuffarsi verso altri oceani, attuando una trasformazione.

 

LE SOFT SKILL CHE L’ACCOMPAGNANO

L’apertura al cambiamento non è una skill stand alone, ma parte di un ecosistema più ampio di competenze interconnesse. Ovviamente sai bene che, nelle aziende, il cambiamento è un po’ come quando all’improvviso ti si accende nel cruscotto una spia dal significato ambiguo e il meccanico fa ipotesi su ipotesi, aumentando il tuo senso di smarrimento e facendoti meditare di passare all’elettrico. Raramente arriva in modo prevedibile e lineare e spesso si manifesta sotto forma di incertezze, criticità da risolvere e nuove opportunità da cogliere al volo. Per questo motivo, per essere davvero efficace, l’apertura al cambiamento deve camminare fianco a fianco con altre soft skill fondamentali complementari.

Il pensiero critico aiuta a valutare con lucidità le opzioni disponibili, distinguendo i rischi reali dalle resistenze infondate. Il problem-solving consente di tradurre l’incertezza in soluzioni concrete, trasformando gli ostacoli in opportunità di crescita. La leadership, invece, gioca un ruolo chiave nell’orientare team e organizzazioni attraverso le transizioni, creando un ambiente in cui il cambiamento non è percepito come una minaccia ma come un’opportunità. Infine, la gestione dello stress e la flessibilità cognitiva permettono di adattarsi velocemente senza perdere di vista obiettivi e strategie. In questo mosaico di competenze, l’apertura al cambiamento è la tessera centrale: senza di essa, il rischio è quello di restare immobili mentre il mondo si muove avanti.”

 

DA PROCESSO STRESSANTE A ESPERIENZA ECCITANTE

Affrontare il cambiamento non è solo una questione di competenza, ma anche di mindset. La mentalità si può acquisire, consolidare. Per questo la gamification rappresenta un approccio sempre più apprezzato nel mondo aziendale per allenare la flessibilità mentale e l’adattabilità. Grazie a strumenti digital HR come quelli progettati da Artémat, i membri dei team aziendali possono sperimentare situazioni di trasformazione e allenarsi a gestire l’incertezza.

Le esperienze immersive offerte dai nostri tool, per esempio, pongono i partecipanti di fronte a sfide che richiedono di abbandonare pattern abituali, pensare fuori dagli schemi e collaborare per trovare soluzioni innovative. Il gioco, in questo senso, diventa un “campo di prova” sicuro ma realistico, dove è possibile sbagliare senza conseguenze negative e apprendere dagli errori.

Inoltre, la gamification aiuta a innescare un meccanismo di gratificazione immediata, che stimola il coinvolgimento e riduce la naturale resistenza al cambiamento. Con il suo potere di trasformare un processo potenzialmente stressante in un’esperienza motivante, questa metodologia ha dimostrato di essere un eccellente catalizzatore per l’adozione di nuove strategie e la gestione delle transizioni.

 

STAY OPEN-MINDED

La storia di Kodak con cui abbiamo iniziato ci insegna che l’apertura al cambiamento non è un’opzione ma una necessità strategica. Soprattutto nei tempi che stiamo vivendo, caratterizzati dalle enormi trasformazioni introdotte dalla democratizzazione dell’intelligenza artificiale. Reinventarsi e adattarsi non solo è possibile, ma può diventare un trampolino verso nuovi successi. Come dimostrano le altre due storie che abbiamo raccontato.

Investire nell’apertura al cambiamento significa costruire una cultura aziendale che valorizzi la curiosità, l’innovazione e il coraggio di affrontare l’ignoto. Significa anche avvalersi di strumenti e adottare approcci che favoriscano e valorizzino questo mindset.

Alla fine, non si tratta solo di sopravvivere, ma di prosperare. Le aziende che abbracciano il cambiamento non solo resistono alle trasformazioni del mercato, ma ne diventano protagoniste, guidandole secondo la propria visione. Perché, come abbiamo visto, il cambiamento non aspetta nessuno: meglio essere i primi a mettere a fuoco il futuro che essere immortalati con gli occhi chiusi in una foto sbiadita del passato.

 

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