OK, IL TEMPO E GIUSTO! Non farti scappare il talento

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Ma tu guarda questi…

 
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«Apprezziamo lo zelo del team di recruiting e comprendiamo l’importanza di scegliere il miglior candidato. Tuttavia siamo certi di aver già fornito la quantità di informazioni adeguata alla valutazione del nostro profilo professionale. Teniamo a lavorare per un’azienda che rispetti il nostro tempo come professionisti, quindi non parteciperemo a ulteriori round di assessment».

Questo abstract, preso in prestito da una discussione tra HR americani su Reddit (e tradotto), è una martellata su un tasto dolente ben noto ai membri del reparto Risorse Umane di molte aziende anche di questa parte del globo. Prima di cedere alla tentazione di giudicare, facciamo un passo indietro e contestualizziamo. La richiesta che precedeva una così decisa e inflessibile replica da parte di un gruppo di candidati di un assessment – ovviamente seguita a un classico colloquio-intervista – era articolata così:

  1. Screening di 15 minuti in video conference
  2. Valutazione delle competenze e invio di campioni di lavoro
  3. Seconda intervista di 30 minuti con il responsabile delle assunzioni
  4. Terzo colloquio-intervista di 60 minuti con il team di leadership, durante il quale i candidati avrebbero dovuto creare e tenere un pitch di 15 minuti, oltre a stilare un calendario di 15 giorni di contenuti, con tanto di esempi concreti (che avrebbe richiesto diverse ore di lavoro ndr.)
  5. Verifica delle referenze più una valutazione delle competenze di un’ora e un test di personalità aggiuntivo

Non proprio una passeggiata. La ciliegina sulla torta? La posizione aperta non era nemmeno di alto livello e la paga si attestava nella fascia bassa della media. E a proposito di “tasti dolenti”, immaginiamo che adesso ti risuonino in testa le prime, iconiche quattro note della Quinta di Beethoven. Viste da questa prospettiva, le parole di quei candidati non sembrano più tanto sfrontate, vero? Se ci mettiamo nei panni dell’azienda, comprendiamo che la ragione a monte di un processo di assunzione così “strutturato” nasca dalla necessità di acquisire i migliori talenti in circolazione. Ma al contrario, come dimostra la replica dei candidati, sembra studiato appositamente per allontanarli. 

Dal punto di vista del candidato, la sovrabbondanza di step nel processo di selezione può risultare frustrante e scoraggiante. È un po’ come andare al supermercato per comprare il latte e scoprire che prima devi attraversare un labirinto, risolvere enigmi, schivare un’enorme palla di pietra e passare indenne sotto una pioggia di dardi avvelenati. E magari arrivare allo scaffale e sentirti dire che il latte è finito! Un processo di assunzione troppo lungo e complesso può dare l’impressione che l’azienda non rispetti il tempo e l’impegno dei candidati, rischiando di allontanare proprio quei talenti che si vorrebbero attrarre. Perché, diciamocelo, chi sa di avere talento quanta voglia può avere di fare l’Indiana Jones del recruiting per un lavoro da impiegato!

Ecco perché è fondamentale ricorrere a strumenti di assessment progettati per ottenere un’efficace individuazione dei talenti in tempi brevi o, per lo meno, ragionevoli. Quelli basati sui principi della gamification possono rappresentare una valida soluzione a questo problema. Ed ecco una rapida cinquina di motivi per sceglierli:

  1. Efficienza e tempestività: Sono coinvolgenti e permettono di valutare le competenze tecniche e trasversali dei candidati in tempi ridotti. Attraverso simulazioni realistiche e dinamiche, è possibile ottenere un quadro completo delle capacità di un candidato senza necessità di prolungare oltremodo il processo di selezione.
  2. Coinvolgimento dei candidati: La gamification trasforma il processo di selezione in un’esperienza interattiva e motivante. I candidati non solo dimostrano le loro competenze, ma si sentono anche più coinvolti e apprezzati. Questo può aumentare l’attrattiva dell’azienda (employer branding) e migliorare la candidate experience.
  3. Valutazione completa e obiettiva: Attraverso scenari di gioco che simulano situazioni lavorative reali, i recruiter possono osservare direttamente come i candidati affrontano problemi, prendono decisioni e interagiscono con gli altri. Questo metodo consente una valutazione più oggettiva e completa rispetto ai tradizionali colloqui basati su domande teoriche.
  4. Riduzione del drop-off dei candidati: Un processo di selezione lungo e complesso può portare i talenti validi (e consapevoli di esserlo) a perdere interesse o a ritirarsi. La gamification, invece, rende il processo di assessment più interessante e meno oneroso.
  5. Feedback immediato e miglioramento continuo: Le piattaforme di gamification possono fornire feedback in tempo reale sia ai candidati che ai recruiter. Questo non solo aiuta i candidati a migliorare, ma consente anche alle aziende di affinare continuamente i loro processi di selezione.

In conclusione, per gli HR delle aziende, adottare strumenti di assessment basati sulla gamification vuol dire migliorare l’efficienza del candidate journey, creando al contempo un’esperienza più positiva e coinvolgente per i candidati. Questo approccio non solo facilita l’individuazione dei migliori talenti, ma contribuisce anche a costruire un’immagine aziendale moderna e attenta alle esigenze dei professionisti

Dopo tutto, ciò che le aziende vincenti oramai hanno capito è che se un assessment non si rivela come un processo “win-win”, allora fa acqua. Il valore che alimenta il successo delle imprese più floride è frutto di un reciproco scambio: dai dipendenti verso l’azienda e dall’azienda verso i dipendenti. Comprendere e accettare il fatto che il tempo sia una risorsa preziosa anche per il candidato è un ottimo punto di inizio. I percorsi eroici è meglio lasciarli agli avventurieri a caccia di tesori perduti.